venerdì 30 aprile 2010

LA MITIZZAZIONE RETORICA


A inizio marzo e' stato sfregiato il monumento di Scalvaia (Siena), che ricorda la fucilazione di dieci partigiani avvenuta per mano della Guardia Nazionale Repubblicana l'11 marzo 1944. Gli imbecilli che hanno imbrattato il monumento hanno firmato il loro gesto lasciando un volantino a firma Ordine Nuovo. A questi fatti non sono seguite smentite o dissociazioni di nessuno. Il Consiglio Provinciale di Siena, con voto unanime di tutte le forze politiche, ha condannato il gesto dei codardi.

Di seguito il mio intervento in aula, che trova spunto dall'articolo di Claudio Magris pubblicato in prima pagina del Corriere della Sera il 26 aprile 2010.

Prima di leggere il mio intervento ho contattato il prof. Magris che mi ha risposto con le seguenti parole: Gentile Fabrizio Camastra, grazie per la sua email, per il Suo interesse e per il testo del Suo intervento, che mi sembra molto vicino a quello che ho cercato di esprimere nel mio articolo, distinguendo come Lei, la doverosa affermazione della causa giusta da un indiscriminato odio verso le persone e soprattutto auspicando che la Resistenza e i suoi valori siano così definitivamente acquisiti da non aver più bisogno di difenderli, cosa invece purtroppo necessaria quando vengono negati.
Con un caro saluto, Claudio Magris


Segue il testo del mio intervento che ho intitolato "Mitizzazione Retorica"


Mi hanno colpito le parole di Claudio Magris nell’articolo pubblicato ieri sul Corriere della Sera “Com’è triste dover difendere la Resistenza”, egli scrive:
da anni il 25 aprile siamo costretti a ripetere le stesse cose, a esprimere il fastidio di dover difendere, dinanzi a tante becere denigrazioni, la Resistenza quale fondamento e Dna della nostra Italia. Credevamo fosse una realtà tranquillamente acquisita dalla storia. Una realtà da ricordare senza enfatiche celebrazioni (infatti, faccio i miei pubblici complimenti alla bellissima iniziativa organizzata a Chianciano dal Consigliere Provinciale di Rifondazione Comunista Antonio Falcone, per marcare il valore della giornata di festa del 25 aprile)
una giornata da ricordare senza alcuna necessità di anacronistiche dichiarazioni antifasciste e senza astio nei confronti del fascismo stesso, fenomeno nefasto e doloroso che era stato doveroso combattere, che andava capito nelle cause che l’avevano generato. Andava condannato nelle sue infamie, ma anche valutato in alcuni suoi aspetti positivi e rispettato in quei suoi fermenti che avevano indotto pure spiriti generosi a credere in esso. Non avremmo mai creduto di dover tornare indietro, a ribadire l’antifascismo. Riconoscere che la Resistenza è alla base della nostra vita civile non significa mitizzarla retoricamente, come è stato fatto in passato.
E aggiungo io, che l’esempio della mitizzazione retorica di qualunque evento storico porta a fenomeni di violenza di una stupidità inaudita. Quale esempio mi viene in mente il periodo degli anni di piombo, dove le parti che si scontravano per rafforzare il peso ideologico delle loro azioni cruente e dare un minimo di parvenza culturale all’esperienza politica armata cui stavano partecipando, attingevano idealmente giustificazioni proprio dalla mitizzazione retorica o del fascismo o della Resistenza. E nel contempo trovavano morte gente comune, uomini delle forze dell’ordine, ma anche politici illustri, come Bachelet o Aldo Moro.
Sinceramente trovo alquanto singolare il fatto che siano presenti in dibattito consiliare due documenti di condanna dello sfregio del monumento di Scalvaia. Io ho letto l’ordine del giorno presentato dalla maggioranza e sinceramente non ho problemi a votarlo. Ma a rileggere quello presentato dal Pdl non mi sembra così grave da suscitare sdegno. Noi facciamo riferimento ad alcune considerazioni di storici, che per quanto attiene a ciò che accadde in alcune zone d’Italia hanno parlato di situazioni ascrivibili ad uno stato di guerra civile. E secondo me non costituisce alcun fatto grave ipotizzare che il contesto storico in cui è avvenuto l’eccidio di Scalvaia potrebbe essere anche letto in uno scenario da guerra civile.
Infatti, l’8 settembre 1943 il governo italiano aveva proclamato l’armistizio di Cassibile stipulato con gli anglo-americani, che a questo punto diventarono Alleati.
L’eccidio di Scalvaia è datato 11 marzo 1944. Vi era una situazione dove l’Italia meridionale era già stata liberata dagli americani. Gli Alleati dalla fine di gennaio iniziarono a bombardare Firenze con azioni chirurgiche. I bombardamenti diventeranno sempre più insistenti nella primavera del 1944, soprattutto dopo la liberazione di Roma. Il 3 marzo 1944 ha un grande successo lo sciopero delle fabbriche fiorentine. Questo per dire che la gente non era inerme rispetto a tutto ciò che accadeva, ma vi partecipava, ognuno in base a ciò che credeva di poter o dover dare alla causa. E a trovare la morte non era solo gente armata, ma anche uomini che non hanno mai usato violenza, come il filosofo Giovanni Gentile, colpevole di essere stato ministro del regime fascista o, come nel caso dei fatti di Scalvaia, l’autista che morì per sbaglio nell’attentato dei partigiani indirizzato al Capo della Provincia di Siena. Fatto che provocò successivamente il rastrellamento di Monte Quoio e l’infame fucilazione dei partigiani, cui era stata promessa salva la vita.
C’è un fatto che potrebbe essere significativo del clima di dramma che si viveva in quei mesi del 1944: il 21 aprile, a Firenze, in via Santa Maria un gappista uccide il famigerato fascista “Pollastra”.
Due giorni dopo, il 23 aprile, viene fermato un parente di “Pollastra”, Bruno Fanciullacci (partigiano) in Piazza Santo Spirito e viene accusato della morte del congiunto. Dopo estenuanti ed inutili spiegazioni il Fanciullacci scappa, ma viene catturato e arrestato. Successivamente sarà malmenato e addirittura riceverà sei coltellate al ventre. Il Fanciullacci (partigiano) in quell’occasione non morì, ma per il resto della sua vita, nonostante fermamente convinto dei propri ideali, il Fanciullacci ha sempre negato di essere stato in qualche modo coinvolto con la morte del cugino.
Tutto questo per dire che il clima che si viveva in quel tempo era davvero brutto. C’era diffidenza anche a livello familiare, tra il vicinato, tra amici e questo clima orrendo, che certamente fa parte di un contesto storico di sangue, sia esso di guerra civile o di guerra e basta, comunque di tragedia e di sangue, deve essere condannato da noi tutti insieme. Da noi che siamo cresciuti in tempi di pace e di abbondanza. Da noi che siamo cresciuti sognando a leggere le storie dei partigiani, quelle scritte da Fenoglio, Cassola, Calvino, Pavese. O da chi è cresciuto guardando Happy Days e Giochi Senza Frontiere. Mettiamo in pratica questo dono che abbiamo ricevuto, parlo soprattutto a quelli della mia età, e diamo dimostrazione di apprezzarlo accantonando la mitizzazione retorica di parte, quale contributo nostro per i tempi che viviamo. Che poi sono i tempi nostri.
Non volevo intervenire su questo argomento, ma ho ragionato su una cosa: ogni volta che si presentano documenti di valore storico, ci si divide e spesso anche profondamente. Lo abbiamo visto per l’Ordine del giorno sul Muro di Berlino, dove noi abbiamo votato anche il vostro documento e voi solo il vostro e lo abbiamo visto anche in altre occasioni.
Io penso che idealizzare il passato fino a farlo vivere oggi può essere letto anche quale segno di vuoto, rispetto a ciò che vogliamo offrire per il domani dei nostri figli. Oggi noi abbiamo gli strumenti per analizzare e pure sofisticare quanto è avvenuto nel passato, ma ritengo un lusso troppo grande portare queste sofisticazioni nel presente.
L’ho fatto anche io in questo mio intervento quando ho parlato degli anni di piombo. E avete sentito tutti come suona stonata rispetto ai tempi nostri la nota che ho usato. Eppure è una nota che a me non costa fatica prendere, perché è presente nel Dna di chi è stato democristiano ed è stato educato a sentirsi colpito a morte dai fatti drammatici degli anni di piombo.
Io dico che bisogna andare avanti. Ciò che è stato è scritto nei libri di storia e non sarà un odg a cambiare la storia. Noi ci dobbiamo godere il giorno di festa, con una corsa in bicicletta, con la visita ad un cimitero americano, o alla tomba del milite ignoto, oppure ripercorrendo la memoria partigiana. Ognuno come meglio crede, senza per questo condannare chi la pensa o la vuole pensare diversamente. Parlo di libertà.
Finisco, ribadendo la condanna nei confronti di chi si è macchiato di questo inutile e stupido gesto, di offesa al monumento di Scalvaia, che è simbolo della nostra memoria. Di tutti noi.