mercoledì 15 settembre 2010

La Cultura del conflitto da sconfiggere

di Dario Di Vico dal Corriere della Sera

Mentre il Pd si divide tra uninominalisti e neoproporzionalisti e sta per varare persino le primarie a doppio turno, a Torino, alla festa nazionale del partito, dettano legge i fischi e la contestazione violenta. Dopo Renato Schifani e Franco Marini è stato il turno di Raffaele Bonanni. Essere invitati ai dibattiti torinesi ormai sta diventando un mestiere a rischio perché il Pd non riesce a garantire l'agibilità politica in casa propria. Chiunque passi dai tendoni di piazza Castello può impedire alle più alte cariche dello Stato, ai leader sindacali e agli stessi esponenti del Pd di dire la loro. Quante chiamate di scuse il segretario Pier
Luigi Bersani ha messo in conto di dover fare ancora nei prossimi giorni? Ma in questo caso le telefonate non allungano la vita di un partito. Certo è singolare che dei facinorosi possano introdurre indisturbati bengala e petardi in una sala dibattiti senza che le autorità preposte alla sicurezza li abbiano preventivamente «sconsigliati», eppure così è accaduto. Il risultato è stato che ieri di fronte alla violenza e alle urla di un gruppo di scalmanati è sembrato che «i padri», lo Stato e la politica, abdicassero al loro ruolo. E così i contestatori sono rimasti per una buona ora padroni della piazza, visibilmente soddisfatti del loro successo mentre i militanti del Pd non riuscivano a trovare la forza di reagire. La Torino operaia e democratica è parsa in scacco, quasi che se le sue tradizioni improvvisamente non contassero nulla di fronte alla violenza di un manipolo di giovani barbari. Bonanni rappresenta oggi la Cisl, un sindacato
largamente presente in tutte le realtà del Paese, un' organizzazione nella quale generazioni di laici e cattolici hanno lavorato fianco a fianco in nome degli stessi ideali di tutela del lavoro. La Cisl è stato uno straordinario luogo di innovazione sindacale e culturale e non ha mai fatto le proprie scelte in base alla perversa logica del governo amico o nemico. Bonanni, insieme alla Uil di Luigi Angeletti, ha scelto di non tirarsi indietro, di spendere la credibilità della sua organizzazione per governare la modernizzazione delle relazioni industriali. Un percorso difficile perché si scontra con vecchi riti e mentalità ma anche perché, rubando un' espressione cara a un ministro, si viaggia «in terra incognita». Fare sindacato nell' epoca dell' economia globale è un continuo esercizio di pragmatismo, bisogna rivedere i vecchi strumenti, inventarne di nuovi, rimettere il lavoro al centro della battaglia per la crescita. Bonanni ieri voleva discutere proprio di questo, si era raccomandato che la riflessione sul sindacato non fosse scissa dal tema della crescita. Quel benedetto +2% di Pil di cui abbiamo estremo bisogno per conservare la coesione sociale e che però ci appare irraggiungibile. Non è stato però possibile ascoltare il leader della Cisl. Pur sottolineando tutta la gravità dell' aggressione a Bonanni sarebbe però un autogol trarne la conclusione che siamo entrati automaticamente in un nuovo autunno rovente. Ci sono tutte le condizioni per evitare
di surriscaldare la temperatura sindacale, se non altro perché i mesi più duri della Grande Crisi sono alle nostre spalle, l' export è ripartito e le aziende stanno reagendo bene. I lavoratori sono seriamente preoccupati del futuro dell' occupazione ma non francamente sembrano ammaliati dalla cultura del conflitto. Chiedono soluzioni. Non è poco ma neppure troppo.