giovedì 28 gennaio 2010

Oggi si fa politica anche attraverso il design o progettando un gioco alla play station #8


I moderni Stati occidentali assomigliano sempre più a organizzazioni sociopolitiche che hanno forma di imperi dominati dalle élite speculative. Ai tempi nostri siamo arrivati al punto che queste élite hanno il potere assoluto di decidere cosa è il bene e come realizzarlo. Così, ad esempio la crisi economica globale che ci ha investito può essere considerata effetto di un déchet (scarto) del sistema finanziario in una fase di riorganizzazione strutturale. Infatti, gli economisti dotati di gnosi non escludono ricadute critiche dei mercati proprio perché sanno dell’esistenza di molte scorie ancora in circolo per i mercati finanziari. Questi scarti sono il prodotto di “sistemi di bene” teorizzati dalle élite che nei fatti sono risultati impraticabili o che in fase di realizzazione hanno dato luogo ad effetti non previsti.
In generale l’azione combinata delle élite ha prodotto una omologazione culturale di massa che si antepone alla politica, che così non trova più adeguati canali di comunicazione sociale. Perciò il sistema politico riceve input e sa cosa dovrebbe essere fatto, ma non può realizzarlo perché ogni cosa deve passare attraverso complicati canali di mediazione coi gruppi di potere. Per questo, ad esempio, la comunità politica internazionale non è capace di dare una risposta sistemica al grande tema dell’inquinamento ambientale. Gli stati nazionali non riescono a definire un tempo di durata alla crisi economica finanziaria che investe tutti. Per questo, negli Stati Uniti d’America, la riforma sanitaria che vorrebbe il Presidente Obama è in discussione. Per questo, oggi la politica non riesce a svolgere pienamente il proprio ruolo.
Allo stesso tempo sta nascendo una nuova civiltà, non più guidata dalle ideologie tradizionali che hanno lasciato traccia solo negli spazi ornamentali della tecno-cultura.
La politica di questi tempi esprime la necessità di elaborare strumenti innovativi per organizzare questa nascente civiltà, della quale possiamo intuirne la natura, ma non ci è ancora chiara la fisionomia. Questo processo sarebbe indispensabile, anzi bisognerebbe pure fare presto, perché i sussulti che provengono dagli epicentri speculativi sono il segno che nel sottosuolo qualcosa si sta muovendo già, in funzione di assestamento di posizioni per il controllo sociale, e non è la politica.
Allora, occorrerebbe una maniera diversa di fare e pensare la politica. La storia recente, del periodo che ha seguito la caduta del Muro di Berlino, segna la prova che è possibile considerare un metodo anche impolitico. Inoltre, in Europa non vi sono più stimoli legati alla vecchia maniera di fare e interpretare la politica. E così la caduta degli ideali, annunciata da Karl Popper, non ha dato luogo a sistemi etici omologabili in chiave culturale e quindi le ideologie del novecento non hanno sparso il seme nel futuro.
Per colmare il vuoto ideologico sarebbe utile muovere dai movimenti culturali che hanno ispirato l’uomo per rinvenire strumenti di lettura e di sintesi alle complicate dinamiche politiche. Ad esempio, un metodo di stimolo di generazione politica che affronti il tema del futuro potrebbe essere rivenuto nel movimento futurista stesso.
Il Futurismo nacque cento anni fa, in un periodo analogo a quello che stiamo vivendo, di grande fase evolutiva della civiltà. I futuristi sperimentarono ogni forma espressiva come metodo. Partendo dall’assunto che non vi è più uno spazio centrale di destinazione tradizionale, allora per la politica varrebbe considerare la manifestazione espressiva quale campo di applicazione legittimato. Perciò anziché occupare uno spazio, che la moderna tecno-cultura vorrebbe minimo, la politica dovrebbe occupare tutti gli spazi. E diremmo che si può fare politica tracciando linee architettoniche, facendo design o progettando un gioco alla play station.
Seguendo questo percorso metodologico sarebbe possibile proporre nuovi tipi di organizzazione sociale muovendo da presupposti periferici, affermando la verità delle cose, dando luogo ad un mosaico diverso da quello tradizionale, in grado di superare i limiti della democrazia, che di questi tempi stiamo riscontrando anche nella pratica della vita quotidiana.
Tutto ciò è al tempo auspicabile e necessario. Perciò varrebbe di abbandonare i modelli politici che oggi abbiamo negli occhi (e nel cuore), i rispettivi ed obsoleti valori di riferimento a sistemi ideali decaduti, per dar luogo a un modo diverso di fare politica, ovviando al rischio di una politica senza governance.