mercoledì 8 settembre 2010

Massoneria, voyerismo e P38 a Siena


di Fabrizio Camastra

Sinceramente mi ha sorpreso il voyerismo che in questi giorni ha attraversato Siena. L’articolo del Fatto Quotidiano della settimana scorsa, che parla della massoneria nel capoluogo, ha riempito la città di chiacchiere. Ovunque non si fa che parlare d’altro. Non avevo letto l’articolo, figuratevi se butto i miei soldi per comprare il giornale di Travaglio. Questo fine settimana parlavo con un giornalista dell’attività politica che stiamo portando avanti in Provincia e questi di punto in bianco mi ha chiesto cosa pensassi della massoneria. Di getto ho risposto che non era mia abitudine parlare di cose che non conosco, ma la domanda me la sono portata a casa. Tutta la sera mi sono chiesto cosa andava cercando da me questo giornalista. Sapendo bene che ai tempi d’oggi chiunque può essere messo tranquillamente di mezzo a cose cui non c’entra niente, mi guardavo allo specchio per cercare tratti distintivi che in qualche modo mi potessero accostare all’essere massone. Stai a vedere che sarà il naso, pensavo. Una volta, proprio per il mio naso, un prete mi disse che avevo i lineamenti tipici del giudeo e di stare accorto ad evitare viaggi in paesi islamici, ma mai nessuno mi ha mai detto che ho il profilo di un massone. Poi, il giorno successivo ho saputo dell’articolo sulla massoneria che ha suscitato clamore a Siena e ho fatto due più due. Ho capito che qualcuno stava cercando di trascinare sul piano politico una vicenda che con la politica non ha nulla a che vedere. Innanzitutto perché non riguarda ne la politica e ne altro l’eventuale conflitto tra le logge massoniche a Siena. Poi perché se da una parte è vero che si potrebbe affermare che i massoni si scambiano favori nei rispettivi ambiti di competenza, allora lo stesso si potrà dire anche per i soci del club della 500 o della vespa. Qualche tempo fa, prima di schiantarmi contro un auto in sosta con il mio vespone 150 del 1979, il mercoledì sera giocavo a calcetto. Tra i compagni coi quali condividevo questa passione c’era qualche magistrato, alcuni avvocati, dei commercialisti e a volte veniva a giocare un maresciallo dei carabinieri. Le partite le ricordo sempre molto tirate e quando si faceva goal ci si abbracciava. Ma l’abbraccio non significava che il giorno dopo potevi andare a chiedere strani piaceri in Procura o alla caserma dei carabinieri, anzi. La morale di questa favola è che ci sono giornalisti che con le congetture ci campano bene. Che scrivono per stimolare cattivi pensieri e bassi istinti umani. Alimentano atteggiamenti perversi, come il voyerismo. Con la scusa di raccontare la verità non fanno altro che usare la penna come se fosse una P38. Un’arma che fa vittime, ma che a questi giornalisti gli rende fama e fa vendere giornali, libri e gli fa fare soldi, tanti soldi. E il fine si sa, giustifica i mezzi.