domenica 22 novembre 2009

Tra città e campagna ai tempi nostri #7


In questi giorni ho sentito che con il nuovo orario che entrerà in vigore il 13 dicembre di quest’anno saranno tagliati molti intercity. E’ una tragedia per migliaia di pendolari che viaggiano quotidianamente sulla tratta Firenze – Roma, dove sembra che saranno addirittura quattro i treni che verranno soppressi. E’ un grave danno per la nostra economia locale, che vive di scambi interregionali. Le realtà territoriali di provincia, come la nostra, non possono continuare ad essere sacrificate da politiche di gestione aziendali, che rispondono a elementari logiche materialiste.
Noi viviamo queste terre di centritalia quale luogo di sentimento antico, di cultura contadina, promuoviamo al mondo l’immagine di una terra sana e incontaminata, ma non fino al punto da far scegliere il paracadute quale mezzo di trasporto, alla gente che vuol farci visita o ai nostri residenti costretti a lavoro nelle città.
Bisogna dire che la politica che Trenitalia sta portando avanti con i tagli dei collegamenti interregionali nel nostro territorio è culturalmente anticiclica e per questo dovrebbe essere chiarita, perché altrimenti continua a fare danni che poi costeranno grandi sacrifici alle generazioni future. Infatti, il decennio compreso tra il 1960 ed il 1970 è stato animato dalla questione “tra città e campagna”. C’era l’emigrazione interna, quella verticale dove la gente si spostava dal sud al nord industrializzato in cerca di lavoro e migliori condizioni di vita e c’era l’emigrazione orizzontale, della gente che dalla provincia del centro Italia si spostava a Firenze o Roma per lo stesso motivo. Questi ultimi se potevano evitavano di entrare a far parte della classe di emigranti e andavano a costituire quella prima generazione di pendolari che ha sofferto tutte le carenze strutturali del momento. Quali linee ferroviarie vecchie di prima della guerra. Linee elettriche incomplete. Sistemi di informazioni scarse e non supportate da principi di diritto rivendicabili. E quant’altro uno ci può mettere. Tutto il sacrificio veniva affrontato, sia dagli emigranti che dai nuovi pendolari con grande spirito di servizio per la nazione. Erano gli anni della crescita improvvisa della nostra economia e gli italiani si sentivano tutti santi e titolari del miracolo economico che si stava compiendo. In questo contesto, la nostra terra di centritalia fu oggetto di particolare attenzione, perché il dibattito “tra città e campagna”, venne arricchito da elementi romantici e la questione prese un tono completamente diverso. All’inizio sembrava che l’argomento fosse sproporzionato e propendere inevitabilmente verso le città, cui vi confluivano quotidianamente masse di nuovi residenti. Quindi la città considerata centro meritevole di tutte le attenzioni progettuali e di impiego di risorse economiche e materiali. Ma la cultura offrì alla questione il tema della campagna, che fu posto sotto il profilo della necessità di difesa dell’identità culturale del nostro territorio e quindi, di salvaguardare la residenza dei nostri paesi e garantire la sopravvivenza del sistema agricolo. Per questo il dibattito diede luogo alla tesi della “continuità fra città e campagna”, con il riconoscimento dell’importanza della funzionalità dei nostri piccoli centri, considerati piccoli nuclei urbani, sobborghi delle metropoli che stavano crescendo. Piccoli paesi, ben collegati ai grandi centri, dove si poteva scegliere di restare a vivere per la qualità della vita e dei rapporti umani.
Per questo ebbero grandi importanza stazioni ferroviarie quali Terontola, Chiusi, Orvieto, Orte. Attorno a questi centri di snodo ferroviario, vi erano molti altri paesi che venivano confortati dalla presenza di un servizio ferroviario che garantiva di restare in comunicazione col mondo. Che permetteva di raggiungere Firenze o Roma in due ore, nonostante lo stato penoso delle linee ferroviarie e delle linee elettriche.
E’ paradossale che in questi tempi di sviluppo tecnologico, dove puoi chiamare tuo cugino a New York componendo quattordici numeri, resti tagliato fuori dal mondo perché hai scelto la qualità della vita per la tua famiglia.
Posta in questi termini la questione, appare chiaro che è necessaria una sollecitazione culturale per difendere la mobilità fisica sul nostro territorio. La questione per diventare tale dovrà assumere i connotati di una valigia segnata da uno sbarco internazionale: piena di adesivi di contrassegni di dogane. Quindi, oltre alla generalità del mondo culturale, tutti i soggetti politici dovrebbero garantire lo stesso impegno e la stessa partecipazione al problema. Pena, la delegittimazione della questione laddove venisse ascritta a mera istanza di parte.